Fu proprio al Filmstudio negli anni ’75-’76 che si cominciò a parlare di Giovane cinema italiano per definire una serie di film indipendenti che non potevano essere fatti rientrare nei filoni classici dell’underground o del cinema militante.
Erano film prodotti in maniera indipendente generalmente dagli stessi autori, girati in Super8 o in 16mm, la cui costante era il recupero del “narrativo” e un dichiarato disprezzo per la sperimentazione.
Il 14 dicembre del 1976, un giovane filmaker sconosciuto, alto, magro, con i capelli lunghi di nome Nanni Moretti, esordì al Filmstudio con il suo primo lungometraggio “Io sono un autarchico” (girato in Super8). Inaspettatamente il film esplose. Fu un successo travolgente.
“Io sono un autarchico” irruppe nella scena cine-socio-politico-culturale del momento come il film che molti, senza saperlo, stavano aspettando.Al Filmstudio, in oltre tre mesi di programmazione, il film fu visto e apprezzato, tra gli altri, da numerosi e influenti big del mondo del cinema, del giornalismo, della cultura, dell’arte e della politica (non solo di sinistra). Nel giro di qualche mese il giovane filmaker sconosciuto, alto, magro e con i capelli lunghi era diventato il noto regista Nanni Moretti.
Il successo di “Io sono un autarchico” scatenò una folta schiera di giovani epigoni, ansiosi di ripetere l’impresa del loro odiato-amato maestro. Già alla fine del ’77, nel ’78 e nel ’79 la quasi totalità dei giovani filmaker che proponevano i loro film all’attenzione del Filmstudio “volevano essere tutti Nanni Moretti.”
In quegli anni io e Americo Sbardella (il fondatore del Filmstudio che ci ha lasciato il 20-6-2017) avevamo organizzato diverse rassegne collettive dedicate al fenomeno del Giovane cinema italiano. La più corposa, dopo una lunga e appassionata preparazione, la presentammo nell’ottobre del 1981. Il programma, diviso in sei sezioni, comprendeva 44 film inediti (corto-medio e lungometraggi in Super8 e in 16mm) di 24 autori e 6 autrici.
Notammo che nel frattempo qualcosa era cambiato. La rassegna della “carrozzella” ci restituiva uno scenario mutato rispetto a quello di qualche anno prima.
Il fenomeno del “morettismo” era ormai in via di estinzione. I giovani filmaker che giravano in Super8 sognando il 35mm e che cercavano una prima visibilità al Filmstudio tenendo l’occhio fisso alle sale commerciali, avevano rinunciato ai sogni di ogni fama improvvisa. Di contro emergevano giovani “autori”e “autrici” più saggi e meno nevrotici, che sentivano la necessità di maturare in maniera progressiva e che, come ai tempi dell’underground, consideravano l’inserimento nel circuito commerciale una prigione per la propria creatività. L’esplorazione dell’interiorità, il ritorno ad un cinema onirico, poetico e surreale erano le nuove costanti.
La sezione che dedicammo al “Cinema naif” fu, invece, una novità . Comprendeva sette film. Quattro dei fratelli Alampi (Michele, Tonino e Alfredo) e tre di Tony De Bonis, un ex pugile con una immensa passione per il cinema. Questi originalissimi filmaker provenivano tutti da Pietragalla, un paese in provincia di Potenza, non lontano dal paese e dai luoghi descritti da Carlo Levi nel romanzo “Cristo si è fermato a Eboli.” Si trattava di un cinema autenticamente popolare e contadino, un fenomeno inconsueto e forse unico che, certamente, avrebbe interessato Pasolini e che meriterebbe un discorso più lungo e articolato.
La rassegna della “carrozzella” segnò anche l’inizio di un progressivo abbandono del formato Super8. I filmaker cominciavano a trasformarsi in videomaker. (Armando Leone)

 

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