Al Filmstudio ricordi di vita
di Marco Lodoli

ENTRARE al Filmstudio in questi giorni è come visitare uno strepitoso sito archeologico dove si conservano le memorie di una civiltà antica, e che però ancora vibra di bellezza e ancora ci racconta le mille storie da cui proveniamo.
Sono quarantacinque anni che il Filmstudio, nella poetica sede di via Orti d’ Alibert, offre agli spettatori quanto di meglio è stato realizzato nel cinema d’ autore, un cinema che oggi pare schiantato dal puro intrattenimento, da un immaginario che non vuole sapere più niente di un’ arte profonda, intensa, complessa.

Ora Delia Perese Armando Leone, insieme ad Amerigo Sardella stantuffi instancabili e mai grippati del primo cineclub d’ Italia, presentano una mostra che espone le locandine di tutte rassegne di questa lunga storia d’ amore per il cinema.
Si cominciò nel 1967 con Norman McLaren, fantasioso autore canadese: era un tempo in cui i ragazzi erano inquieti, incontentabili, ansiosi di incontrare nuove forme espressive, e quel cineclub è stato per molti l’ università dove assorbire altri mondi.
La nouvelle vague francese, l’ espressionismo tedesco, l’ underground americano, il cinema delle donne, il primo film di Moretti, le prime opere di Wenders, il cinema impegnato e quello di sperimentale, i maestri e le giovani promesse: abbiamo visto e assimilato tanto grazie al Filmstudio, in quelle salette piene di fumo e di sogni.

E poi si andava in qualche pizzeria di Trastevere a commentare, a discutere, si diventava grandi confrontandosi con i grandi del cinema.
A volte si beccava anche qualche mattonata, ma faceva bene pure quella, educava alla resistenza mentale e fisica. Ora possiamo ritrovare una parte della nostra giovinezza scalpitante in quelle locandine appese ai muri del Filmstudio: tornano i ricordi di serate bellissime in cui ci sentimmo più adulti, in cui qualcosa cresceva nel buio di una saletta minuscola che apriva le sue meravigliose finestre solo per noi.

Fonte: Archivio Repubblica

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