Corriere della Sera – 20/10/2015
di Stefania Ulivi
Un luogo unico, fin dall’indirizzo, via degli Orti d’Alibert 1 C, una strada poco conosciuta nel cuore di Trastevere. «Una strada buia, o almeno lo era allora, e quando abbiamo cominciato a frequentarla abbiamo capito che lì stava nascendo qualcosa…» come ricorda Vittorio Taviani. Lui e il fratello Paolo furono tra i primi frequentatori del Filmstudio 70, il cineclub aperto il 2 ottobre 1967 da Americo Sbardella e Annabella Miscuglio , «una bomba atomica di cultura caduta pacificamente su Roma», secondo l’efficace di sintesi del musicista Alvin Curran. Nacque con l’obiettivo di mostrare opere al di fuori dei circuiti commerciali del cinema contemporaneo, cercando una intesi tra impegno sociale e ricerca, tra i maestri e i giovani registi. Fu una scommessa e un successo. Solo lì si potevano vedere, in programmazione, le opere di pionieri come il maestro dell’animazione d’avanguardia Norman McLaren, dei protagonisti della Nouvelle Vague francese, dell’espressionismo tedesco, dell’underground americano. Nelle due salette poco distanti da Regina Coeli ci andavano — anche e soprattutto da spettatori —: Bernardo Bertolucci, Alberto Moravia, Dacia Maraini, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Eric Rohmer. Si potevano incontrare personaggi leggendari come Godard Eric Rohmer, Robert Kramer, Straub e Huillet. Lì dentro si formarono autori oggi di culto come Alberto Grifi. Nella sala rossa si celebrò il battesimo artistico di Nanni Moretti con Io sono un autarchico.

Fonte: https://roma.corriere.it/notizie/cultura_e_spettacoli/15_ottobre_19/

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